La Sfinge del Teatro romano maggiore di Pola

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Nel potente stato romano dell’antichità i teatri erano prerogativa delle città ai massimi livelli di urbanizzazione. La colonia romana Pola (Colonia Iulia Pola Pollentia Herculanea) aveva addirittura due teatri, ambedue costruiti nel periodo del primo principato. Il Minore, che è anche il più antico, venne innalzato all’interno delle mura difensive. A quell’epoca la popolazione romana coglieva ogni occasione per radunarsi, darsi buon tempo e ai divertimenti, qui compresi gli spettacoli teatrali che venivano organizzati durante le grandi solennità religiose. Agli spettacoli assistevano anche gli abitanti dell’intero agro polese e oltre, sicché servivano edifici teatrali dotati di cavee particolarmente capaci. Nel I sec. d. C. a Pola, la cui area urbana era relativamente contenuta, venne costruito, come conseguenza dell’eccezionale popolarità delle rappresentazioni teatrali, un secondo teatro, considerevolmente più grande. Venne ubicato su un’area extraurbana, nei pressi del tratto meridionale delle mura cittadine, sul pendio settentrionale di uno dei colli polesi, oggi noto come Monte Zaro. Una volta esaurita la sua funzione originale, il teatro andò gradatamente in rovina, diventando col tempo un ammasso di ruderi. In gran parte la sua totale distruzione fu causata dal fattore umano, in questo caso dalla necessità di acquisire materiale edile già lavorato per la costruzione di fabbricati nuovi o il riattamento di edifici vecchi. L’ultimo di tali interventi di riutilizzo dei grandi blocchi di pietra del Teatro maggiore per nuovi scopi, risale all’inizio degli anni Trenta del XVII sec., allorché venne eretta la fortezza veneziana sul colle centrale della città. Le autorità veneziane affidarono l’esecuzione del progetto e la soprintendenza alla sua realizzazione, che durò dal 1630 al 1633, all’ingegnere militare francese Antoine De Ville. Per costruire la fortezza, nei primi due anni di lavoro De Ville usò come materiale edile i più grandi blocchi di pietra del Teatro Maggiore in rovina.

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(copy 6)

Fig. 1 Canale di scolo del Teatro romano maggiore di Pola.
Fotografato dal basso con vista sulla Casa Schram
(foto di T. Draškić Savić).

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Dopo un lungo periodo di ristagno e la successione di vari governi, dalla metà del XIX sec. Pola, nel frattempo diventata il principale porto di guerra della Monarchia austro-ungarica, conobbe un nuovo periodo di prosperità. Furono creati nuovi rioni cittadini, con numerosi stabili pubblici e privati, e la città si espanse all’esterno delle mura perimetrali urbane. In tal modo, anche sull’area che era stata occupata dal Teatro romano maggiore, vennero erette nuove case e aperte vie di comunicazione. A causa delle circostanze suddette oggi in quel posto non è praticamente rimasta alcuna traccia visibile ad indicare l’esistenza in passato di un edificio monumentale quale fu l’antico teatro.
Grazie ai vecchi documenti e alle illustrazioni grafiche del passato, nonché agli scritti con le loro impressioni lasciatici da remoti visitatori sul teatro, che a suo tempo dominava, assieme all’anfiteatro, il panorama generale della città, disponiamo in merito di un certo bagaglio di conoscenze. Verso la metà del XVI sec. Pola venne visitata dal famoso architetto italiano Sebastiano Serlio, che aveva uno spiccato interesse per le costruzioni antiche e che fu il primo a tracciare degli schizzi e la planimetria del Teatro Maggiore. A quel tempo erano ancora visibili gran parte dello spazio scenico e della cavea. I disegni di Serlio rappresentano una fonte di dati preziosa per cercare di visualizzare il teatro nella sua forma originale. Molto tempo dopo, durante la prima metà del XIX sec. e i primi decenni del XX sec., la costruzione di nuovi edifici riportò alla luce resti alquanto modesti delle strutture teatrali in muratura e reperti che facevano parte delle loro decorazioni. Particolarmente notevole il torso imperiale, datato fra la seconda metà del II sec. e l’inizio del III sec., che si suppone decorasse una nicchia dello spazio scenico al secondo piano dell’aggetto centrale sulla facciata interna, la scaeneae frons (il fondale dipinto permanente). L’anno 1908 è particolarmente significativo per quel che riguarda la raccolta di dati sul teatro. Fu in quell’anno che il conservatore austriaco Anton Gnirs elaborò, come risultato delle sue ricerche archeologiche, una nuova planimetria del Maggiore, prendendo in considerazione la pianta di Serlio, come pure quella disegnata dal comandante della gendarmeria, Hermann Schram, durante la costruzione della sua casa di famiglia nell’odierna via Dobrila 4 (al tempo Via Apollo 3). Le fondamenta di Casa Schram furono poste nel 1874, proprio nell’area della parte orientale su cui si ergeva lo spazio scenico del Teatro romano maggiore. Le ricerche di Gnirs recuperarono solo alcuni modesti resti delle decorazioni architettoniche, un tempo appartenenti allo spazio scenico teatrale, cui si aggiunsero nel 1911 quelli trovati durante i lavori di costruzione del nuovo, più ampio Circolo ufficiali austro-ungarici, noto come Marine-Kasino (oggi Casa dei Difensori croati). Altri avanzi delle strutture in muratura dello spazio scenico furono riportati alla luce nel 2014, durante gli scavi per l’installazione delle tubature del gas in via Dobrila. Furono identificati i resti di parte delle fondamenta del muro settentrionale esterno appartenente allo spazio scenico con un canale di scolo, quello stesso che molto tempo prima era stato scoperto e documentato da Hermann Schram.

 

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Fig. 2 Teatro romano maggiore,

planimetria e veduta del muro laterale della cavea,
da Sebastiano Serlio (Dipartimento documentale del MAI).

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Fig. 3

Planimetria del Teatro romano maggiore di Pola (Gnirs 1908).

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Le informazioni tramandateci da Serlio, Schram e Gnirs e i frammenti architettonici decorativi, oggi custoditi dal Museo archeologico dell’Istria, sono stati sufficienti per restituirci un quadro approssimativo delle dimensioni e dell’aspetto del maggiore dei due teatri romani di Pola. Sfruttando il pendio del colle e adattandovisi, i costruttori romani formarono una cavea semicircolare a imbuto, su tre livelli, più una galleria sommitale. Si stima che la cavea potesse accogliere all’incirca 5 mila spettatori. Si può soltanto cercare di immaginare che entusiasmo suscitasse nel pubblico la vista della facciata riccamente decorata della scena monumentale, davanti alla quale su una piattaforma rialzata (proscenio) si svolgevano gli spettacoli teatrali.

E che ammirazione provocassero le fastose colonne di marmo con capitelli corinzi disposte su tre piani, le architravi, i fregi e le cornici lavorate a rilievo, le sculture, e tutto il resto che si può unicamente presupporre, e che abbellivano la scena. Anche l’esterno del teatro aveva un aspetto rappresentativo. La parte terminale della parete semicircolare della cavea era articolata, a livello del primo e del secondo piano, da una serie di aperture ad arco, mentre all’esterno, lungo tutto lo spazio scenico, si estendeva un loggiato a due piani con un ordine di colonne scanalate terminanti con capitelli corinzi. Anche le dimensioni attestano l’imponenza dell’edificio, che raggiungeva i 120 m in lunghezza e gli 85 m in larghezza, mentre l’altezza dello spazio scenico arrivava nel punto più elevato – come si ritiene – a 32 m. Sulla scorta delle analisi effettuate sui frammenti delle decorazioni architettoniche, si reputa che il Teatro romano maggiore sia stato costruito al tempo dei Flavi, sebbene vi siano anche altri pareri, secondo i quali risalirebbe al principato di Augusto.
A giudicare dalle vestigia architettoniche, il Teatro Maggiore venne abbellito da lussuosi marmi importati da varie regioni. Una di quelle vestigia è il frammento marmoreo con la raffigurazione in rilievo di una sfinge, che presentiamo in quest’occasione.

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Il frammento di cornice marmorea
con il rilievo di una sfinge


Sebbene molto frammentato, il pezzo di cornice marmorea su cui è raffigurata in rilievo una sfinge è da considerarsi fra i più belli tra i reperti rinvenuti nel Teatro romano maggiore. Venne trovato nel 1911 nel cantiere del Circolo ufficiali austro-ungarici di Pola (Marine-Kasino), assieme ad alcuni altri frammenti appartenenti ad elementi architettonici esornativi di marmo e pietra calcare. Tra questi meritano particolare considerazione parte dell’architrave, su cui sono raffigurate a rilievo le maschere di Sileno e di satiri, e il frammento proveniente dalla cornice di un timpano, rappresentante maschere teatrali maschili e maschere di satiri. In base al luogo del rinvenimento si può concludere che tutti i reperti in parola dovevano far parte dello spazio scenico del Teatro. Sorgeva, nell’evo antico, proprio nel sito in cui i frammenti sono stati recuperati ed aveva un loggiato esterno su due piani. Il rilievo che raffigura la sfinge si distingue per il materiale di cui è fatto e per l’impostazione concettuale, che si discosta dagli standard seguiti nella lavorazione delle cornici architettoniche. Nell’architettura tradizionale romana le cornici (modanature) erano un elemento pressoché immancabile e di solito erano riccamente decorate a rilievo. Le mensole delle cornici erano generalmente ricoperte di foglie di acanto. Non era tuttavia insolito che fossero talvolta istoriate da figure in rilievo, come nel caso della nostra cornice in cui la figura della sfinge è riprodotta in altorilievo, un parallelo immediato della quale si trova proprio sulla cornice del timpano del Teatro Maggiore, dove la mensola centrale è modellata in forma di maschera satiresca.
Sul frammento marmoreo presentato in questa mostra la sfinge occupa la posizione centrale e costituisce una mensola aggettante. Alla sua destra e alla sinistra vi sono dei riquadri, ognuno dei quali contiene una rosetta. Sopra i riquadri si estendono foglie di acanto che terminano, su ambedue le estremità, in un nastro spiraliforme. Le foglie di acanto, di cui quelle a destra sono staccate, sono trattenute da una larga fascia, situata dietro la testa della sfinge. Dalla fascia sporge perpendicolare una foglia di palma. Verso il fondo, immediatamente dietro ambedue le ali, si scorge una decorazione quasi completamente distrutta, che ricorda il kyma lesbio. La sfinge è riprodotta frontalmente, in posizione seduta, con le ali spiegate. Il volto è racchiuso da capelli che in ciocche leggermente ondulate scendono verso la nuca, sulla quale sono raccolti. Sul petto presenta due mammelle, separate da una larga fascia orizzontale dalle mammelle sulla parte ventrale. Le mammelle sul petto sono associate alla parte antropomorfa della sfinge, quelle ventrali alla componente animale. La lavorazione del rilievo rivela qui e là l’uso del succhiello, che si nota specialmente lungo i margini degli ornamenti vegetali e nella realizzazione delle pupille. Tutta la rappresentazione è resa in altorilievo, sicché è raggiunto un alto grado di voluminosità. Per la cornice in questione venne utilizzato marmo proconnesio, facilmente riconoscibile anche a occhio nudo. È bianco con caratteristiche venature grigiastre o bluastre. Proviene dall’isola di Marmara, che si trova nell’omonimo mare. Benché il marmo proconnesio sia stato usato per secoli, una sua applicazione su più larga scala si iniziò appena dalla metà del I sec. d. C. Aveva un costo accettabile grazie alla posizione della cava, situata alla confluenza di importanti rotte di navigazione, che ne facilitavano di parecchio il trasporto per nave. Nella cava suddetta venivano fabbricati prodotti pronti ma anche semilavorati, la cui rifinitura, data la delicatezza dell’operazione, veniva eseguita nella località di destinazione. Talvolta venivano esportati blocchi delle dimensioni richieste e, con tutta probabilità, per la cornice polese venne usato marmo preparato in quest’ultima maniera, mentre il rilievo fu successivamente modellato in una bottega locale. Ai reperti del Teatro romano maggiore appartengono pure dei capitelli corinzi, anch’essi scolpiti in marmo proconnesio, tutti datati alla fine del I sec. d. C. I tratti stilistici, la vigorosa plasticità e la raffinatezza nella resa dei motivi vegetali e della figura sul frammento con il rilievo della sfinge indicano un maestro scalpellino locale di buon mestiere. Il reperto viene datato tra la fine del I e l’inizio del II sec. d. C.

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Sull’origine della sfinge


Affiorata dalla mitologia delle antiche civiltà, la sfinge solitamente rappresenta un essere con il corpo leonino, la testa umana e ali d’aquila. Sin dai tempi più remoti è stata un frequente motivo della letteratura, dell’arte drammatica e figurativa. Anche nel mondo romano la sua figura era alquanto ricorrente e diffusa. Veniva rappresentata in sculture a sé stanti, in rilievo e dipinta. Ornava le più diverse opere architettoniche e oggetti d’uso quotidiano. La sua immagine venne incisa pure sulle monete romane coniate subito dopo la vittoria di Augusto su Marc’Antonio e la regina egizia Cleopatra, nella battaglia di Azio del 31 a. C. Una sfinge figurava inoltre sul primo sigillo personale di Augusto e due sfingi illeggiadriscono le bretelle della corazza della famosa statua dell’imperatore di Prima Porta. Le sfingi venivano spesso ritratte sui monumenti funebri, a rilievo o a tutto tondo, nel ruolo simbolico di custodi delle anime dei defunti. Il mito nacque in Egitto, dove la sfinge era considerata la custode delle tombe dei faraoni. Il monumento più famoso dedicatole è quello di Giza, che rappresenta Chefren. Risale alla metà del terzo millennio a. C. Da allora in Egitto venne ufficialmente raffigurata con la testa del sovrano e il tipico copricapo, attributo della famiglia reale. Nei territori della Siria e della Mesopotamia le sfingi furono invece rappresentate esclusivamente come esseri alati, a differenza di quelle egizie che avevano sembianze di leone con testa umana. Dall’Egitto la sfinge raggiunse anche la Creta minoica, dove col tempo, sotto l’influenza dell’Oriente, venne anche lì dotata di ali. Per questa via approdò poi nel mondo greco ed etrusco. Il periodo della Grecia classica si caratterizza per immagini sfingee standardizzate: corpo leonino, ali di volatile, testa di ragazza. In genere la sfinge, simbolicamente protettrice delle anime dei morti, veniva scolpita come scultura a sé stante o sulle stele funebri. Di frequente se ne ritrovano altresì le immagini sui recipienti di ceramica, i cui motivi decorativi erano in genere ispirati alle opere drammatiche a sfondo mitologico. Coprotagonista del mito del re tebano Edipo, la misteriosa, saggia e fatale Sfinge compare nei lavori dei pittori greci che dipingevano la ceramica. La scena più famosa è quella in cui, all’entrata di Tebe, la Sfinge pone ad Edipo il famoso enigma: “Quale creatura cammina al mattino su quattro gambe, a mezzogiorno su due e alla sera su tre?“. Rispondendo trattarsi dell’uomo, che nell’infanzia gattona su quattro arti, quando cresce cammina su due e da vecchio si appoggia a un bastone come terza gamba, Edipo liberò i Tebani dal terrore imposto dalla Sfinge, che per la disperazione si uccise gettandosi in un baratro.

Nel mondo romano la sua figura compare in contesti funebri nel ruolo di protettrice dei defunti e nelle drammatizzazioni del mito di Edipo.
Tra i reperti sfingei trovati a Pola quasi tutti hanno carattere sepolcrale, persino quelli sull’Arco dei Sergi, monumento di carattere memoriale e commemorativo. L’unica rappresentazione di una sfinge che se ne discosti è proprio quella rinvenuta nel Teatro romano maggiore. Dato il contesto in cui si situava, questa immagine potrebbe essere stata ispirata dagli spettacoli drammatici a tema mitologico, inerenti alle tragiche vicende del re tebano Edipo.

 

 

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Fig. 4 Frammento di fregio con raffigurazione a rilievo di una sfinge e Priapo.


Mausoleo ottagonale di Pola (foto di S. Petešić).

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CATALOGO


Il frammento di cornice marmorea con il rilievo di una sfinge
Descrizione: Frammento di cornice di marmo proconnesio con mensola modellata in forma di sfinge. La sfinge è rappresentata di fronte, seduta, con le ali spiegate. Il volto è alquanto danneggiato all’altezza del naso e della bocca e circondato da capelli che in ciocche leggermente ondulate scendono verso la nuca dove sono raccolti. Le iridi degli occhi furono incavate con il succhiello. Le gambe sono incomplete, quelle anteriori spezzate a metà, le posteriori danneggiate alle estremità. Sul busto la sfinge mostra le mammelle, separate da una larga fascia orizzontale tra la parte pettorale e quella ventrale. Quelle sul petto sono da associare al suo aspetto antropomorfo, le mammelle ventrali a quello animale. I riquadri laterali, sui fianchi della mensola, sono ricoperti ognuno da un fiore quinquipetalo, dal centro sporgente e dai petali appuntiti e inarcati. Sopra i riquadri, a cominciare dal centro della mensola, si estendono simmetricamente due viticci affrontati di acanto (il destro è staccato). Dietro la testa della sfinge i viticci sono fermati da una larga fascia. La cornice è sbrecciata su tutti i lati. La ricca decorazione è stata realizzata in altorilievo.
N. ro inv.: A-5744.
Materiale/tecnica: marmo, scalpellatura.
Dimensioni: altezza 16 cm, larghezza 33 cm, lunghezza 85 cm.
Luogo del ritrovamento: Pola, Teatro romano maggiore, 1911. Facciata esterna dello spazio scenico.
Datazione: fine I sec. - inizio II sec.

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La Sfinge del Teatro romano maggiore di Pola

Mostra
Via Carrara 4, Pula
Una finestra sul passato
25. 10. 2022. – 24. 1. 2023.

 


Autrice della mostra e del testo: Silvana Petešić


Organizzatore ed Editore: Museo archeologico dell’Istria


Rappresentante dell’Organizzatore e dell’Editore: Darko Komšo


Autore dell’allestimento, veste grafica: Darko Komšo, Adriana Gri Štorga, Katarina Zenzerović


Autore dell’allestimento, veste grafica: Vjeran Juhas


Disegno: Ivo Juričić


Autori delle fotografie: Vjeran Juhas, Tanja Draškić Savić, Silvana Petešić


Interventi restaurativi: Đeni Gobić-Bravar


Coordinatrice della mostra: Monika Petrović


Traduzione italiana : Elis Barbalich-Geromella


Traduzione inglese: Neven Ferenčić


Revisione del testo croato: Milena Špigić


Correzione dei testi: Adriana Gri Štorga, Milena Špigić, Katarina Zenzerović,
Giulia Codacci-Terlević


Stampa: MPS Pula


Tiratura: 500


Pola, 2022.

 

 

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