I reperti di osso, punteruoli e aghi, trovati nel castelliere di San Michele presso Valle. La storia degli indumenti di pelle e dei primi tessuti preistorici

I ritrovamenti di punteruoli e aghi di osso nell’area di San Michele
presso Valle


Durante le ricerche avvenute nel 2006 e nel 2007 nel sito del castelliere dell’età del Bronzo di San Michele nei pressi di Valle (fig. 1) vennero scoperti alcuni frammenti ossei appartenenti a varie parti di punteruoli o aghi.


Punteruoli e aghi di osso


Degli aghi e punteruoli di San Michele si sono conservati piccoli frammenti (T. 1, fig. 1-3). In età preistorica, ma anche nei periodi successivi, il materiale osseo era molto gratificante essendo adatto alla creazione di attrezzi e ornamenti vari. Date le loro caratteristiche i manufatti di osso erano più consistenti e resistenti di quelli di legno e con un poco di impegno in più si potevano modellare secondo le esigenze dell’artigiano; era inoltre facile levigarne la superficie, aspetto, questo, particolarmente importante per oggetti come perforatori o punteruoli e aghi. Lungo la penisola istriana punteruoli e aghi furono in uso durante il Paleolitico, il Mesolitico, il Neolitico e l’Eneolitico fino a tutta l’età del Bronzo. A livello etnologico, in Istria la produzione e l’uso di utensili ossei risultano fino agli sgoccioli del secolo scorso. Quando parliamo di un punteruolo di osso ci riferiamo a un attrezzo che serviva a perforare pelli mediamente coriacee o più morbide, ossia a prepararle alla cucitura e alla confezione di indumenti. In sostanza, gli aghi sono simili ai punteruoli: quello che distingue i primi è un maggior grado di lavorazione e levigatezza, e alcune peculiarità morfologiche. Non presentano giunzioni né allargamenti nella parte prossimale, poiché il loro scopo era trapassare completamente il materiale da cucire. Considerando dunque il loro alto grado di levigatezza e il metodo di lavorazione, è assolutamente chiaro che qui si tratta di aghi. Le loro punte sottili e acuminate dicono che erano oggetti utilizzabili unicamente nella lavorazione di pelli precedentemente trattate e probabilmente anche per cucire dei materiali più leggeri. Di quali materiali si trattasse non è cosa che si possa affermare con certezza, poiché non vi sono prove dirette, ma si trattava verosimilmente di alcuni tipi di tessuto ricavati da fibre di origine vegetale.

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Fig. 1 Mappa satellitare della penisola istriana con il sito preistorico di San Michele - Valle.

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Lavorazione e tecnica di perforazione delle pelli e confezione di indumenti nel Paleolitico, Neolitico, Eneolitico e età del Bronzo


La lavorazione e l’utilizzo delle pelli animali si annoverano tra le attività antropiche più antiche, risalenti già all’età paleolitica. Accanto alla raccolta di cibo, la prima preoccupazione dei nostri progenitori paleolitici era proteggere il proprio corpo dagli agenti esterni (freddo, pioggia, neve e quant’altro), al cui scopo si ricorreva alle pelli (grezze) degli animali. Si ritiene che i procedimenti più primitivi di conciatura delle pelli fossero la fumigazione e il trattamento con i grassi e il midollo degli animali uccisi. La preparazione delle pelli si iniziava eliminando la sporcizia e i peli e scarnificandole. Poiché con l’andare del tempo la pelle diventa rigida e fragile, l’uomo inventò vari metodi di lavorazione per ovviare al problema. Con la macerazione e i risciaqui nelle pelli veniva ristabilita la quantità di acqua che possedevano prima di venir conservate. Successivamente ne venivano rimossi i resti di peli, radici comprese, di epidermide e di proteine che ne intralciavano la conciatura (fig. 2). Quest’ultimo processo dura di solito dalle dieci alle dodici ore, dipendentemente dal tipo di conciante usato e dal processo tecnologico seguito. I materiali naturali che tuttora si impiegano per la conciatura delle pelli sono le cortecce e le masse legnose di alcune specie di alberi come querce, abeti e ginepri. Dopo la concia si passava al processo di essiccazione del cuoio, concluso il quale i lembi dei pezzi destinati alla confezione di indumenti venivano perforati con dei piccoli punteruoli di osso e cuciti usando aghi di osso e fibre o filamenti di pelle o vegetali. L’ultima fase della confezione del vestiario consisteva nella tecnica di assemblare con il cucito le parti di pelle tagliate o staccate. Sono tutte attività poi diventate mestieri e dalle quali col tempo si è andata sviluppando l’industria della pelletteria. Il primo indumento al mondo ha fatto la sua comparsa fra i 500.000 e i 100.000 anni a.C. (BC). I reperti archeologici del Paleolitico superiore, risalenti da 40.000 anni a.C. (BC) a 10.000 anni a.C. (BC), confermano i suddetti procedimenti di lavorazione delle pelli, loro concia e confezione di vesti (fig. 8a). Dai reperti di punteruoli e aghi di osso ritrovati possiamo supporre che in Istria le comunità del Paleolitico superiore e del primo Neolitico praticassero nella confezione di indumenti di pelle tecniche analoghe.

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Fig. 2 Essiccazione delle pelli e confezione di indumenti di pelle nel Paleolitico superiore e nel Neolitico.
Ricostruzione (disegno di R. Zlatunić).

 

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Le tecniche di preparazione dei filati e di tessitura o cucitura dei primi tessuti preistorici


Gli inizi della fabbricazione di fili da fibre vegetali o da peli animali si collocano nel periodo del Paleolitico superiore e nel Mesolitico, allorché per le necessità di cucire pelli o indumenti di cuoio si usavano fibre vegetali ritorte. Nel Vicino Oriente e nella penisola greca in età mesolitica, pre-neolitica, neolitica, eneolitica e nell’età del Bronzo (8000 - 5000 anni prima del presente/BP), le comunità preistoriche usavano per fabbricare fili - come risulta dai campioni di tessuto pervenutici – in prevalenza materie prime di origine vegetale: lino (Linum usitatissimum), giunchi, fibre di querce, tigli, salici. Nel Mesolitico e Neolitico i filamenti di canapa (Cannabis sativa) servivano a realizzare corde. Il più antico pezzo di tessuto fatto di fibre di canapa è stato rinvenuto a Çatal Hüyük (Turchia) ed è datato a circa 10 mila anni prima del presente (BP). In Egitto è stato trovato un tessuto di fibre vegetali vecchio di circa 7000 anni. Si tratta di reperti concernenti stuoie, cesti a spirale e tessuti primitivi (fig. 3-5), mentre il cordame più antico scoperto nella stessa area è di alcuni secoli più recente. Nella zona alpina l’inizio dell’utilizzo del lino e dei giunchi si fa risalire attorno a 4000 - 3000 anni prima del presente (BP). Nel periodo Neolitico le più vecchie razze ovine (Ovis aries) non erano ricoperte di vello bensì di un pelo corto, simile a quello dei cervi, sicché la lana ovina, in senso classico, compare per la prima volta in Europa appena alla fine del tardo Neolitico, nell’Eneolitico e nell’età del Bronzo, mentre nel Vicino Oriente e nell’Asia Minore risulta che la lana ovina veniva utilizzata nel periodo Neolitico. I più antichi reperti di tessuto di lana ovina provenienti dal territorio europeo sono i resti tessili di Clairvaux-les-Lacs in Svizzera, che vengono datati al 2900 a. C. (BC), e quelli di Wiepenkathen nella Germania settentrionale, datati al 2400 a. C. (BC). Nella tarda età del Ferro, oltre che la lana, in singole parti d’Europa si tessevano i lunghi crini di cavallo e, verso la fine dell’età del Bronzo e l’inizio di quella del Ferro, anche i peli di lepri e di altri animali selvatici.

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Fig. 3 Filatura a mano di fibre vegetali prima della tessitura, età neolitica ed eneolitica. Ricostruzione (disegno di R. Zlatunić).

 

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Fig. 4 Intreccio a mano di fibre vegetali per stuoie, età neolitica ed eneolitica (disegno di R. Zlatunić).

Fig. 5 Intreccio a mano di fibre vegetali per indumenti, età neolitica ed eneolitica (disegno di R. Zlatunić).

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La lavorazione della canapa e del lino


Il processo di trasformazione della canapa e del lino in fibre sottintendeva una serie di operazioni consecutive; dopo essere stati macerati ed essiccati, i fasci di canapa e di lino venivano sciolti e preparati per essere maneggiati fisicamente. Poi, tramite la tecnica della battitura e della raschiatura, si procedeva alla separazione dei filamenti o fibre più sottili dalla parte legnosa della pianta. Un’ulteriore operazione comprendeva la pettinatura, che serviva a separare le fibre lunghe (canapa) da quelle corte (stoppa); pertanto in epoca preistorica le fibre corte andavano a formare funi e quelle lunghe si utilizzavano per ricavarne filamenti o fili. Le fibre in parola erano sfruttate per intrecciare i fili poi usati per cucire indumenti di pelle e di tessuto. Con ulteriori procedimenti le fibre venivano riordinate e filate e avvolte alle conocchie (fig. 3) o, rispettivamente, durate il Neolitico e l’Eneolitico, ai fusi di argilla, come quelli trovati in Grecia (Prodromos, Otzaki, Servia, Achilleion, Soffuli, Maguouli, Elatea, Nea Nicomedia e Sesklo) e nel territorio albanese (Vastëmi I e Dunavec I). Nel passaggio da fibra a filato, i fili venivano fatti passare attraverso un uncino, mentre il fuso pendeva liberamente dal filo del filato. Il procedimento per l’ottenimento del filato consisteva nell’attingere con una mano, in maniera costante, le fibre dalla conocchia, intanto che con l’altra si faceva girare il filo del filato e ciò in modo che il peso ruotasse e le fibre si tendessero al massimo e saldamente intrecciassero al filato (fig. 3). Affinché la filatura risultasse ottimale era necessario disporre di fusi ideali con aperture piane o fori obliqui o tubolari del diametro di 1 cm. I fusi che non disponevano di un’apertura ben centrata erano inutilizzabili. In questo senso erano determinanti il loro peso e diametro. Il peso rivelava il tipo di filatura: infatti per filare fibre che producevano fili lunghi il peso necessario ammontava fino a 150 g, invece per i fili più corti servivano fusi pesanti da 8 a 33 g. Si ritiene che anche in Istria le comunità preistoriche praticassero la tecnica di filatura delle fibre vegetali e che per la tessitura usassero il telaio a pesi o verticale. Ce lo testimoniano i pesi dell’età del Bronzo e dell’età del Ferro, i fusaioli di ceramica o di osso che avevano la funzione di mantenere l’appiombo dei fusi, i pesi per i telai, i rocchetti per avvolgere i fili e via dicendo.

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Le tecniche di lavorazione dei tessuti preistorici


All’origine degli indumenti confezionati con tessuti ottenuti da filati vegetali, come pure di quelli successivi fatti con tessuti di lana, sta la tecnica dell’intreccio a mano dei cesti del primo Neolitico, riscontrata nel Vicino Oriente, nel Peloponneso greco (Franchthi, 6000 anni circa prima del presente/BP) e nella Tracia (Sitagori). Per la realizzazione degli indumenti si ricorreva alle tecniche dell’intreccio senza nodi, delle reti con nodi, dell’intreccio a spirale, ecc. (fig. 6). L’invenzione della tessitura si deve all’addomesticamento delle pecore e delle capre, che avvenne però solo dopo che il vello degli animali dianzi detti si prestò ad essere filato e tessuto; poi le vesti di lana andarono gradatamente a sostituire quelle di pelle o di pelliccia. Del periodo comprendente le ultime fasi del Neolitico europeo ci sono note alcune forme differenti di telai a pesi o verticali (per la tessitura verticale). I telai in questione racchiudevano uno spazio delimitato da due pali verticali. Per il loro funzionamento era della massima importanza l’uso dei pesi, che dovevano imprimere la giusta tensione al materiale tessuto. Il procedimento includeva tre tipi di filo, che andavano fra loro collegati per formare il tessuto. I due fili fondamentali venivano fissati, mentre il terzo veniva infilato attraverso loro con la navetta o spoletta (fig. 7). Questo tipo di lavorazione è tuttora presente presso alcuni popoli nomadi del Vicino Oriente. Gli indumenti ricavati da tessuti vegetali, come successivamente quelli fatti di tessuti di lana, venivano decorati con svariati motivi, gli stessi che nel periodo del tardo Neolitico si possono ammirare sui recipienti di ceramica delle varie culture coeve. I tessuti venivano tinti con colori naturali ottenuti dalle piante. I motivi decorativi venivano applicati a stampo o a timbro con le pintadere di ceramica, venute alla luce anche in diversi siti istriani (Gromazza – Brioni, Laganiši).

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Fig. 6 Sei tipi di nodi e intrecci di fili vegetali per tessuti destinati a indumenti, età neolitica ed eneolitica (disegno di R. Zlatunić).

 

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Le fogge degli indumenti nel Paleolitico, Mesolitico, Neolitico, Eneolitico e nell’età del Bronzo


I vestiti degli uomini e delle donne del Paleolitico, Mesolitico, Neolitico, Eneolitico e dell’età del Bronzo si possono ricostruire sulla base dei reperti archeologici conservatisi, vale a dire oggetti dell’industria dell’osso (aghi e punteruoli), delle raffigurazioni stilizzate di acconciature, di prodotti tessili e monili riprodotti su figure plastiche antropomorfe e infine grazie ai resti degli indumenti della Mummia di Similaun, familiarmente detta Ötzi. Altri resti archeologici di indumenti risalgono all’età del Bronzo: nell’Europa settentrionale sono stati trovati nelle sepolture in tronchi o casse di quercia, dove si sono conservati grazie alla grande umidità; poi ci sono i ritrovamenti di tessuti nelle tumulazioni della località di Verucchio nell’Italia settentrionale (cultura villanoviana, età del Ferro) e nelle miniere di sale in Austria (Hallstatt). Sono reperti che rivelano come si presentavano gli abiti in tessuto e la loro evoluzione attraverso un lungo periodo di alcuni millenni, durante il quale subentrarono cambiamenti nel materiale usato per confezionare il vestiario, a cominciare delle tecniche neolitiche di utilizzo delle fibre vegetali fino alla comparsa, nell’età del Ferro, dei primi capi di abbigliamento fatti con fili di lana.


I risultati delle ricerche effettuate sul cosiddetto uomo di ghiaccio Ötzi e sui resti dei suoi indumenti, nonché i reperti di frammenti di tessuti rinvenuti in regioni differenti della Svizzera, Danimarca, Italia settentrionale, Austria e Bosnia ed Erzegovina (Pustopolje - Kupres) (dal tardo Neolitico all’età del Bronzo) hanno consentito di formare un quadro più completo sul modo di vivere e sul vestiario indossato dagli uomini del tardo Neolitico e Eneolitico. Le calzature e gli indumenti di Ötzi erano adeguati ad ambienti freddi, ovvero a condizioni climatiche invernali (fig. 8b). In genere comprendevano indumenti fatti di tessuti di fili vegetali intrecciati (fili a più capi), coperte realizzate con erbe intrecciate, un mantello di pelle e così pure calzoni e calzature di pelle; i mocassini, cioè i sandali, erano fabbricati con fibre vegetali intrecciate. L’abbigliamento adatto a condizioni meteorologiche più miti si può presupporre sulla scorta dei resti tessili rinvenuti nei sepolcri in varie parti della Svizzera, Danimarca, Italia settentrionale, Austria, Bosnia ed Erzegovina (Pustopolje - Kupres), come pure nei sacelli del Neolitico pre-ceramico scoperti in Anatolia, a Çatal Hüyük, dove la maggior parte dei defunti venne sepolta completamente o parzialmente vestita di indumenti in tessuto. I capi di vestiario maschili comprendevano cinte di cuoio, calzoni al ginocchio e tuniche-mantelli(fili a più capi), mentre quelli femminili annoveravano gonne di varie dimensioni e forme (fili a più capi), cinture e mantelle (fig. 9). Possiamo affermare che le comunità istriane del Neolitico, dell’Eneolitico e del Bronzo praticavano metodi analoghi di intreccio e tessitura e che indossavano tipi simili di indumenti sia invernali sia estivi.


Un altro elemento importante che ci aiuta a ricostruire almeno in parte l’abbigliamento del Neolitico, dell’Eneolitico e dell’età del Bronzo è rappresentato dalle figure plastiche antropomorfe, appartenenti alla cultura della ceramica a nastro lineare del primo Neolitico (5500 - 4900 a. C.), trovate nelle regioni dell’Ungheria (Bicske, Sé) e della Germania (Nerkewitz, Ostheim e Eilsleben), alla cultura di Lengyel (4900 - 4300 a. C.) in territorio austriaco (Falkenstein) del medio Neolitico, alla cultura di Vinča (4500 - 4300 a. C., Vinča, Kosovska Mitrovica) del tardo Neolitico e alla fase del Ljubljansko barje (Ig II), in Slovenia, della cultura eneolitica. Una ricchezza di forme e di ornamenti che, si può dire, non riflette solamente la fantasia e il pensiero dei vari autori delle figure plastiche, ma anche che permette di cogliervi qualche aspetto della quotidianità delle comunità sociali vissute nel Neolitico e nell’Eneolitico. Bisogna tuttavia andar cauti nelle interpretazioni in quanto gli elementi decorativi sulle figurazioni antropomorfe non rappresentano solamente degli indumenti o campioni di tessuto, monili (collane o medaglioni) o acconciature: potrebbe pure trattarsi di contrassegni di tatuaggi o del culto della fertilità nel periodo geometrico dell’arte o di concezioni cosmologiche.

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Fig. 7 Ricostruzione ideale e modello di telaio verticale a pesi e tessitura nel periodo tardoneolitico
(da Zlatunić (2002) 2004, 91, fig. 71; Bazzanella 1998, 200-201, fig. 15-16).

 

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Fig. 8a Foggia di indumenti maschili risalenti al Paleolitico superiore e al primo Neolitico.

 

Fig. 8b Foggia degli indumenti maschili risalenti al tardo Neolitico e all’Eneolitico: calzoni di pelle, cappa di pelle, cintura, mantello e copricapo di fili vegetali intrecciati (disegno di R. Zlatunić).

8a

8b

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Fig. 9 Foggia di indumenti femminili risalenti al Neolitico e all’Eneolitico, composti da gonne di varie dimensioni e forme (intreccio di fili a più capi), cinture, mantelle e mocassini e sandali intrecciati o di pelle (disegno di R. Zlatunić).

 

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Conclusione


Basandoci sui reperti archeologici, come pure sulle tradizionali tecniche di intreccio ancora praticate in tutta Europa, nel Vicino Oriente, in Africa e nell’America Latina, riteniamo che le comunità istriane del Paleolitico superiore, del Neolitico, dell’Eneolitico e dell’età del Bronzo, applicassero metodi analoghi per realizzare indumenti di pelle, nella tecnica ad intreccio e nella tessitura di fibre vegetali per abiti. Il loro vestiario era simile ai tipi di indumenti sia invernali sia estivi che sono documentati in varie regioni d’Europa.

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Catalogo

 

1. San Michele - Valle 2007; Settore I; Saggio Ia; Quadrante C4; Unità stratigrafica di scavo IIIb; profondità 0,90 - 0,95 m.
Attrezzo di osso; ago; si è conservata la maggior parte di un ago frazionato (spezzato in due e incollato) e lavorato; osso animale; la superficie è levigata.
N. ro inv.: P-31991
Altezza: 5,9 cm; spessore: 0,8 cm; peso: 3 g
Numero parti: 2
Numero pezzi: 1
Ricercatore: Romuald Zlatunić

 

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2-2a. San Michele - Valle 2007; Settore I; Saggio Ia; Quadrante A4; Unità stratigrafica di scavo IIIa; profondità: 0,70 - 0,90 m.
Attrezzo di osso; frammento di ago; si è conservata una piccola parte della testa con cruna; osso animale; levigato.
N. ro inv.: P - 31996
Altezza: 2,6 cm; larghezza: 0,7 cm; spessore della testa: 0,8 cm; peso: 0,4 g
Numero pezzi: 1
Ricercatore: Romuald Zlatunić

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3. San Michele - Valle 2007; Settore I; Saggio Ia; Quadrante B2; Unità stratigrafica di scavo IIIa: profondità 0,70 - 0,90 m.
Attrezzo di osso; punteruolo. Conservato per la maggior parte. Superficie levigata.
N. ro inv.: P-31997
Altezza: 8,5 cm; larghezza: 0,5 cm; spessore: 0,3 - 0,4 cm; peso: 4 g
Numero pezzi: 1
Ricercatore: Romuald Zlatunić

 

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Bibliografia


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I reperti di osso, punteruoli e aghi, trovati nel castelliere di San Michele presso Valle : la storia degli indumenti di pelle e dei primi tessuti preistorici

Mostra
 Via Carrara 4, Pola
Una finestra sul passato
27. 7. – 26. 10. 2021.

Autore della mostra e del testo:
Romuald Zlatunić

Organizzatore ed Editore: Museo archeologico dell’Istria


Rappresentante dell’Organizzatore e dell’Editore: Darko Komšo


Redazione:
Darko Komšo, Adriana Gri Štorga, Irena Buršić


 Autore dell’allestimento, veste grafica:
Vjeran Juhas


Coordinatrice della mostra:
Monika Petrović


Autore delle fotografie:
Romuald Zlatunić


Disegni:
Romuald Zlatunić


Traduzione italiana:
Elis Barbalich-Geromella


Traduzione inglese:
Neven Ferenčić


Correzione dei testi:
Irena Buršić, Giulia Codacci-Terlević,
Adriana Gri Štorga, Milena Špigić


Stampa: MPS Pula


 Tiratura: 500


Pola, 2021.

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